Gli scritti etruschi,molto diffusi e apprezzati,
purtroppo sono tutti andati persi, tra incendi di biblioteche e censure
inquisitorie. Chissà se qualche antico scritto nascosto in qualche
collezione privata, o negli archivi vaticani potrà mai svelarci i segreti di un popolo così misterioso.
Un solo grande mito etrusco è giunto integro ai
nostri giorni: il mito di Tages (Tagete). Un bambino super-sapiente, Tages
nasce da un solco d’aratro, tracciato da Tarkun (Tarquinio), il mitico
fondatore di Tarquinia. Non appena Tages comincia a parlare, accorrono i
Lucumoni , i sacerdoti etruschi, per trascrivere le parole del
“genio della terra” .Nato dalla Madre Terra, come il suo omologo Erictonio (il serpente era
il simbolo della dea della terra), Tages probabilmente dettò nei suoi
libri sacri, i libri Tagetici, temi relativi al mondo del quale era
l’araldo, il mondo sotterraneo e terrestre. Per questo i libri furono
anche detti “Acherontici”, in riferimento al fiume infero che conduceva
nel mondo sotterraneo degli dei della terra: Aita e Phersipnai. Parole che andranno a costituire i “Libri
Tagetici” o “Acherontici” , andati purtroppo perduti.
venerdì 27 dicembre 2013
domenica 19 maggio 2013
I Luoghi del Neorealismo : Rossellini, Fellini e l'Osteria dei Fretelli Menghi
Roma desiderava con tutte le sue forze tornare a vivere, dopo la miseria e la paura della guerra appena finita. Comincia infatti un decennio straordinario, che va dalla ricostruzione alla vigilia del boom economico, culminando con l' avvento della Dolce Vita.
Gli artisti si ritrovano nello studio di Guttuso a via Margutta e in quello di Carlo Levi a Villa Strohl-fern. Ma si incontrano anche nei caffè e nelle trattorie: tra le più frequentate, quella dei fratelli Menghi, che al momento del conto accettano quadri al posto dei soldi. Dopo cena, molti si trascinano fino all' alba tra i tavoli del bar Luxor, che si appresta a diventare il bar Canova, ma per il momento è ancora soprannominato l' «obitorio», per il suo squallore. Sull' altro lato della piazza, il bar Rosati, con i bei banconi di mogano. Il perimetro degli incontri è tutto compreso tra piazza di Spagna, via Margutta e via Ripetta.
In via Flaminia 57, ora c’è il Caffè dei Pittori con una sala interna e una saletta esterna , molto frequentato dai ragazzi della Facoltà di Architettura e Scuola Per Mediatori Linguistici " Gregorio VII". In questi locali c’è stata per decenni l’Osteria dei Pittori, un posto magico, frequentato nel dopoguerra da tutti i giovani talenti dell'arte astratta e d'avanguardia presenti a Roma.
Nella Osteria dei Pittori si parlava di arte e, dopo pittori, poeti e artisti di strada, anche i giovani cineasti incominciano a frequentare il locale: Mario Monicelli, Giuliano Montaldo, Rodolfo Sonego, Ugo Pirro, Franco Solinas, Giuseppe De Santis, Elio Petri, Luigi Magni, Gillo Pontecorvo, Giuseppe Patroni Griffi, tutti rigorosamente senza una lira.“I fratelli Menghi erano dei veri mecenati” ricorda Magni “ed il cinema italiano migliore, così come anche la pittura e la poesia, deve anche qualcosa a loro, anzi moltissimo, proprio per il modo che avevano di trattenere gli artisti a Roma”.
I frequentatori principali erano per esempio : Anna Magnani, Federico Fellini, Ivo Perilli, Roberto Rossellini ma anche scrittori come Italo Calvino che dedicò l'opera "Il Barone Rampante" ad una delle storie ascoltate presso l'Osteria Dei Fratelli Menghi. L'osteria non era solo un luogo per mangiare o bere ma un luogo di cultura, dove poter ascoltare discorsi di ogni genere dalle menti e dagli artisti più importanti degli anni '50.
Ugo Pirro così racconta " Facevo il giornalista. Vivevo fra i pittori, mangiavo a credito mattina e sera in una trattoria in via Flaminia, dai fratelli Menghi, due veri mecenati. Mafai, Consagra, Turcato, Omiccioli, Leoncillo, Mazzacurati, Cascella, Accardi, Corpora erano fra i più assidui. Ma vi andavano anche dei giovani che volevano fare il cinema: Gillo Pontecorvo, Franco Solinas, Sonego, Glauco Pellegrini. C’era anche gente che il cinema lo faceva da anni, come Ivo Perilli, Folco Lulli e altri. Da Menghi cominciò nel ’48 e durò una decina di anni. I fratelli Menghi facevano credito anche agli attori di teatro, anche agli artisti che venivano da Milano, da Venezia. Vi capitavano anche stranieri che arrivano a Roma attratti dal nostro cinema. In quegli anni persino Gabriel Marquez studiava cinema a Roma. Io venivo dalla provincia, aprivo gli occhi su tante cose. Imparavo. Si discuteva anche di cinema."
Anche il grande Scultore marchigiano Pericle Fazzini che nizia la propria formazione nella bottega del padre Vittorio, falegname è un frequentatore dell'Osteria . Grazie all'aiuto del poeta Mario Rivosecchi nel 1930 si trasferisce a Roma dove studia alla Scuola libera del nudo e frequenta la trattoria Fratelli Menghi. Anche Pasolini da poco giunto nella capitale mangiava a credito presso l’osteria dei Fratelli Menghi sulla via Flaminia, scrivere e disegnare sulla tovaglia era diventato un vezzo dei tempi. A Roma di notte sembrava di sentir ruggire i leoni mentre artisti e scrittori passeggiavano in una deserta Piazza del Popolo, fermandosi al Caffè Rosati senza poter consumare. “Opere e personalità prendevano corpo tra gli stenti”.
giovedì 9 maggio 2013
Martin Scorsese: Viaggio in Italia omaggio a Roberto Rosselini
Il mio viaggio in Italia è un bellissimo film documentario del 1999 diretto da Martin Scorsese sul cinema italiano.
Il film dura oltre quattro ore dove vengono mostrati e commentati dal regista spezzoni di film dei più grandi autori italiani: Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Federico Fellini, Roberto Rossellini.
L'opera è un omaggio a quel cinema che il il grande regista ha amato sin da bambino e che lo influenzerà moltissimo nella sua carriera .
Il grande regista commenta i capolavori del neorealismo italiano le cui scene principali scorrono sullo schermo permettendoci di riconoscere le fonti principali di ispirazione della sua stessa cinematografia.
Una storia del cinema italiano dalle origini agli anni Settanta attraverso lo sguardo di un italoamericano d'eccezione che dichiara di aver imparato ad amare il cinema guardando alla televisione i film italiani insieme ai nonni, ai genitori e al fratello. Grazie a questi film Martin Scorsese ha scoperto la sue origini e la propria identità culturale. Il lavoro, che ripercorre circa 130 titoli fino agli anni '70, apre e chiude con 'Paisà' di Rossellini e vuole essere un viaggio attraverso le risposte che i film italiani davano alle domande che si poneva il giovane Scorsese.
Quattro ore di immagini toccanti, un titolo che nel frattempo è diventato Il mio viaggio in Italia omaggio al cineasta più amato da Scorsese, Roberto Rossellini.
"La mia vita è stata
irrimediabilmente segnata dai film del neorealismo" racconta Scorsese -
Un'affermazione che è una dichiarazione d'amore e di intenti, l'inizio di un viaggio nella memoria personale oltre che
cinematografica. Viene evocata la famiglia di origini siciliane,
chiamata a raccolta intorno all'unico televisore posseduto dal padre del
regista: tutti insieme a piangere di fronte alle immagini di Sciuscià o Paisà
trasmessi appositamente una volta la settimana per gli italiani di Little
Italy.
Le immagini di riferimento
impresse nella memoria del regista sono le più toccanti e significative della
nostra cinematografia: il partigiano ucciso dai tedeschi e lasciato andare alla
deriva sulle acque del Po in Paisà; i bambini di Sciuscià, condannati dalla
povertà e destinati a finire in prigione se non addirittura a morire; il piccolo
Bruno di Ladri di biciclette, costretto a diventare adulto prima del tempo.
Da una intervista a Martin Scorsese
Come è nata l’idea di questo “viaggio”?
«In parallelo con la ricerca delle mie
origini. A metà degli anni ’70 ero convinto di essere italiano. Poi sono venuto
in Italia e ho capito di essere americano. Ma la mia ricerca è cominciata alla
fine degli anni ‘40, quando negli Stati Uniti vedevo – al cinema e alla
televisione - i film di De Sica, Visconti, Rossellini».
Questi film hanno influenzato il suo
lavoro?
«Sì, soprattutto hanno influenzato il
mio approccio al cinema. Per questo ritengo molto importante farli vedere alle
nuove generazioni. Il cinema non è fatto solo di blockbuster. “Il mio viaggio
in Italia” è stato proiettato a Los Angeles, al NewYork Film Festival e ha
suscitato grande interesse. Le proiezioni della parte in cui si vedono “Roma
città aperta”, “Paisà”, “Germania anno zero” - fatte dopo l’11 settembre -
hanno addirittura avuto un effetto terapeutico. Suscitando nel pubblico una
sorta di ritrovata capacità di reazione alla guerra, alla tragedia appena
accaduta».
A proposito di 11 settembre: chi
potrebbe portare sul grande schermo questa tragedia?
«Non so se esista un Rossellini americano. Credo che su questo tema verranno fatti diversi film».
Prevede un seguito al suo “viaggio”?
«Sì. Vorrei arrivare alla metà degli
anni 60-70, parlare degli stessi registi ma “a colori”, vedere come è cambiato
il loro carattere. Ma anche parlare di film come “I pugni in tasca” e “Prima della
rivoluzione”. Opere che ho visto quando avevo già deciso di fare cinema e che
quindi mi hanno influenzato come regista, non più come figlio di emigrati. Non
ho fretta, ho impiegato 5 anni a realizzare il primo “viaggio”».
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